cuḍḍuruni
cuḍḍuruni m. (267 Cefalù) pane a forma di ciambella dal peso di uno o due chilogrammi. 2. (277 Gangi, 273 Alimena), cuḍḍiruni (273 Alimena, 279 Castelb.) del pane non ben cotto cotto oppure (279 Castelb.) poco soffice perché la pasta non è stata ben lavorata. 4. (274 Bompietro) pane impastato col cruschello. 5. (269 Isnello, 271 Castell. , 272 Blufi , 273 Alim., 275 Petr. Sopr. , 276 Petr Sott., 277 Gangi, 279 Castelb. ), cuḍḍiruni (262 Caltav., 268 Gratteri, 274 Bomp., 275 Petr. Sopr.), cuḍḍununi (269 Isnello), cuḍḍuruni arrustutu (281 Pollina) piccola porzione di pasta di pane non sempre ben lievitata – spesso recuperata dalla pulitura della madia, o durante la preparazione in casa della pastasciutta (273 Alim. ) –, schiacciata e posta su un lato del forno, accanto alla brace, anche per saggiarne la temperatura prima di infornare il pane. Era apprezzata soprattutto dai bambini, che la consumavano ancora calda senza condimento o con poco olio e sale. Anche pani arrustutu (281 Pòllina). 6. (269 Isnello ), 270 Polizzi , 280 S. Mauro ), cuḍḍununi (269 Isnello), cuḍḍiruni (281 Pòllina), piccola porzione di pasta di pane, non sempre ben lievitata (spesso recuperata dalla pulitura della madia), schiacciata, fritta in padella e insaporita con sale o, più spesso, con zucchero o con miele. Prima della frittura, viene talvolta farcita con ricotta fresca o con acciuga salata e/o con pomodoro secco. A Isnello (269) anche cuḍḍura fritta, a Pòllina (281) anche fuazza. ♦ A cuḍḍuruni loc avv. accovacciato, raggomitolato. b) com’i cuḍḍuruna (263 Scillato)di pane non perfettamente lievitato. c) Ognunu tira vraci ô so cuḍḍuruni (275 Petr. Sopr.), tirari vràcia ô so cuḍḍuruni (272 Blufi, 276 Petr. Sott., 279 Castelb. 281 Pòllina), vurricari [seppellire] ucuḍḍuruni (279 Castelb., 281 Pòllina) fare il proprio interesse anche con danno degli altri; tirare l’acqua al proprio mulino. → cuḍḍura, cuḍḍureḍḍa.
◙ Accr. di → cuḍḍura.
Raramente questo nome assume, attraverso il suffisso -uni, un valore propriamente alterativo (→ cuḍḍureḍḍa), giacché quasi sempre designa alcuni tipi di ‘focaccia’, e più diffusamente quelle consumate senza condimento (gen. cotte nella cenere o a ridosso della brace, prima di infornare il pane, oppure a forno chiuso, dopo avere sfornato il pane). Come nome di focacce condite sulla superficie e cotte a forno aperto è, invece, riscontrato in una stretta fascia centrale della provincia di Palermo, che da Ventimiglia giunge ai confini di quella agrigentina (Bivona), con una propaggine meridionale rappresentata da Aragona (AG) e Castroflippo (AG). Isolate attestazioni si hanno, per questa accezione, anche più a occidente (a Poggioreale TP) e a oriente (Centuripe EN e Militello Val di Catania). Per designare focacce fritte il tipo cuḍḍuruni è ben diffuso in area orientale e, isolatamente, nei due punti occidentali di Corleone (PA) e Partanna (TP).