cuḍḍura
cuḍḍura f. (277 Gangi) il pane posto a lievitare prima di essere infornato. 2. (269 Isnello, 270 Polizzi, 276 Petr. Sott., 279 Castelb.) pane a ciambella di varie fogge e dimensioni, del peso gen. non minore di cinquecento grammi. Spesso la forma è ottenuta unendo ad anello uno o più cordoni di pasta intrecciati. 3. (264 Colles. ) piccola porzione di pasta di pane recuperata dalla pulitura della madia, e non ancora lievitata, intrecciata e posta a cuocere su un lato del forno, accanto alla brace, in attesa di infornare il pane. Era apprezzata soprattutto dai bambini, che la consumavano ancora calda senza condimento o con poco olio e sale. 4. (273 Alim.), cuḍḍura â vampa (277 Gangi ), porzione di pasta di pane (solitamente ammorbidita con aggiunta di acqua e talvolta anche di una piccola quantità d’olio) schiacciata e posta a cuocere su un lato del forno, accanto alla brace, prima di infornare il pane. Gonfia e morbida, con alveolatura particolarmente ampia, viene consumata ancora calda dopo averla aperta e condita con olio, sale, origano, pomodoro a fette oppure con ricotta. Ad Alimena (273) e a Gangi (277) anche scacciata; a Gangi (277) anche vriscata. 5. Gangi (277 ) porzione di pasta di pane schiacciata e posta a cuocere su un lato del forno, accanto alla brace, dopo averla condita in superficie con olio, origano e, a piacere, polpa di pomodoro, pezzetti di formaggio, sarde o acciughe salate, cipolla e/o aglio. 6. Gangi (277 ) pasta di pane ammorbidita con acqua, posta in una teglia, schiacciata e condita, prima di infornarla, con un po’ di pomodoro pelato, un filo d’olio e dell’origano. La si condisce, talvolta, con uova sbattute prima di infornarla. 7. cuḍḍura friuta/fritta (269 Isnello, 278 Geraci , 279 Castelb. , cuḍḍura pateḍḍa (277 Gangi ) piccola porzione di pasta di pane schiacciata, fritta in padella e insaporita con sale oppure con zucchero o con miele. Prima della frittura, viene talvolta farcita spec. con pezzetti di acciughe salate o con pomodori secchi. A Gangi (277 ) vi è anche l’uso di friggere la cuḍḍura pateḍḍa introducendo una padella (pateḍḍa) senza manico nel forno. A Isnello (269) anche → cuḍḍuruni.
◙ La parola cuḍḍura (insieme ai nomi cuḍḍuruni, cuḍḍuredda o cuḍḍureḍḍu e ai verbi cuḍḍuriari ‘avvolgere’, accuḍḍuriari ‘arrotolare’, imbrogliare’, accuḍḍuruniari ‘acciambellare’, ncuḍḍurari e ncuḍḍuriari ‘avvolgere, attorcigliare’, scuḍḍurari e scuḍḍuriari ‘storcere, svolgere’) provengono dal greco antico κολλύρα (collura) ‘focaccia’, ma non e chiaro se attraverso il latino COLLYRA, con lo stesso significato, o dal greco medievale κολλύρα, oppure dall’incrocio dei due.
Questo tipo lessicale (presente anche in Calabria e nel Salento) in Sicilia designa più diffusamente alcuni ‘pani di forma circolare’ anche rituali. Con l’accezione di ‘pane pasquale’ ricorre compattamente in un’ampia area nord-orientale che comprende i punti messinesi centro-orientali e quelli etnei, con gran parte dell’area periurbana di Catania, e raggiunge, a occidente, le varietà di Troina (EN) – dove indica anche il dolce natalizio ripieno di fichi secchi, mandorle, noci, nocciole e miele – e di San Mauro Castelverde (PA). Come nome di alcune ‘focacce’, ricorre isolatamente, oltre che in alcune varietà madonite, nei punti catanesi di Biancavilla e Nicolosi e ad Altofonte (PA).